Voglio Andare / Italian Description

Paris Helene Furst + Naeem Mohaiemen

 I visitatori presenti quest'anno alla Biennale di Venezia (“All The World’s Futures,” a cura di Okwui Enwezor) possono essersi accorti della presenza ubiqua dei venditori di strada bengalesi fuori dai Giardini e dell'Arsenale. Migranti dal Bangladesh sono una presenza dominante e in continua espansione in Italia, come nota anche Amara Lakhous nel suo romanzo Scontro di civiltà sopra un'ascensore di Piazza Vittorio (2008) e l'installazione di Paul James Gomes, Prego Selfie, 2015. La comunità contiene al suo interno diversi sotto gruppi, non per forza coordinati o tra di loro solidali. Al vertice della gerarchia vi sono quelli che sono arrivati per prima e con una certa educazione, capaci di imparare l'Italiano bene. Questi ultimi vivono una situazione leggermente meno complessa e possono a volte passare per "italiani scuri". Quando litigano tra di loro ("vaffanculo!") suonano come i nativi, sicuri nella loro invettiva. Guardano dall'alto al basso i loro fratelli bengalesi per le strade ("non apparteniamo alla stessa classe") e sono per lo più indifferenti di fronte ai clienti bengalesi nei loro ristoranti (niente patatine extra).

I loro fratelli scuri sono i nuovi mercanti di Venezia - venditori di bastoni per selfie, soffici palline di gomma, luminosi elicotteri volanti, torce caleidoscopiche e le immancabili rose rosse. Tra questi ultimi vi è un numeroso gruppo di nuovi bengalesi rifugiati dalla Libia, lavoratori stranieri che erano impiegati nell'economia dei pozzi petroliferi, al collasso da quando è scoppiata la guerra civile. Le gerarchie dei gruppo sono basate su momento d'arrivo nel paese, e gli ultimi sono relegati alle palline di gomma e ai bastoni per i selfie. Dopotutto, vendere le rose richiede la sicurezza per interrompere le coppiette, o la faccia tosta di infilarsi in un ristorante alla moda - compiti che vengono affidati a quelli che sono presenti da più tempo ed hanno un italiano passabile.

Tra queste due categorie c'è un altro gruppo - quelli che hanno abitato qui a sufficienza e parlano un italiano decente, ma a cui mancano le possibilità e i percorsi per diventare camerieri o proprietari di un ristorante. In questa categoria vi è Narshingdi B_ , un uomo che è stato qui per "molto tempo", lavorando in diversi luoghi di lavoro (tra cui la sezione locale del partito comunista e come guida turistica per la scorsa Biennale d'Arte), con una faccia bruciata dal sole che racconta di diversi attraversamenti di confine, e che può essere visto mentre si prende una pausa pomeridiana vicino all'Arsenale.

Quando Naeem è arrivato a Venezia per l'inaugurazione della Biennale a maggio 2015, Narshingdi rappresentava un'eccezione rispetto ai diversi mercanti che incontrava. E' stata la prima persona a concedere un'intervista senza alcuna paura in relazione al suo status d'immigrato. Sedendosi nel plateatico di un bar vicino all'Arsenale, la conversazione è cominciata con una domanda di rito, un cliché di per sé: " Perché i bengalesi non visitano la Biennale?".

In un assolato pomeriggio, Narshingdi ha raccontato della città parallela all'interno della città stessa, occasionalmente interrotto da visitatori della Biennale che si fermavano per salutarlo. Alla sera è tornato al lavoro, e la conversazione ha avuto una lunga pausa.

Nell' agosto del 2015, Paris Furst è partita da Berlino per lavorare al Creative Time Summit a Venezia. Mentre era lì, ha saputo dell'incontro precedente con Narshingdi, connettendolo con il suo lavoro sviluppato sulla raccolta di storie individuali dei rifugiati berlinesi recenti. Andandoselo a cercare, ha domandato a Narshingdise fosse d'accordo a rilasciare una seconda intervista, questa volta in italiano.

 

I due intervistatori (Naeem, Paris) non conoscevano le reciproche domande e non conoscevano la lingua dell'altra intervista (bengalese per Naeem a maggio, italiano per Paris ad agosto). Le interviste sono state mixate da Marcelo Añez, che non parla nessuna delle due lingue e ha lavorato in maniera intuitiva basandosi sul feeling del suono e delle curve delle onde. Rachel Aumiller, James McIver e Stefhan Link, musicisti di base ad Amburgo hanno registrato per il mix un versione rallentata della canzone sindacale di Ralph Chaplin “Solidarity Forever", un tributo alla figura accademica di Peter Custers scomparso nel mese scorso.

Per Helicotrema il progetto sonoro sarà installato nella "Polveriera Francese", un edifico del 19esimo secolo, un magazzino per la polvere da sparo per l'esercito francese. Tra i visitatori di questo spazio, solo i bengalesi veneziani potranno capire tutto quello che viene detto all'interno della stanza. Per gli altri visitatori ci saranno frammenti in italiano, strascichi di parole in inglese sepolte nel bengalese (“Europe e tokhon crazy namlo”) e stralci di risate. Narshingdi è il personaggio più duttile all'interno di questo mosaico - è presente in due lingue, un messaggero poliglotta che indica un valoroso nuovo mondo. La visione distopica di un uomo nuovo di Aldous Huxley si è fatta carne in un modo radicalmente diverso nel nostro tempo: un tempo in cui il capitale si muovo ovunque, i corpi sono respinti alle frontiere e il linguaggio diventa un arma per sopravvivere.

Nella conversazione finale, Narshingdi ha detto che non era sicuro di quanto ancora sarebbe rimasto a Venezia. Dice che l'Italia "è finita" per lui, e per gli italiani allo stesso modo. Ha lavorato qui per tredici anni, senza tornare in Bangladesh per sei anni (Narshingdi ha un figlio che non ha mai visto).

Negli ultimi tempi ha incominciato a sentirsi esausto, ed è andato da un dottore per un controllo. La diagnosi è stata " Tu non stai male - sei stanco, sei triste, devi tornare a casa, devi tornare al tuo paese.” 

Nelle ultime due settimane, il telefono di Narshingdi era spento (“il cliente da lei chiamato non è al momento raggiungibile.”). Un invito per partecipare all'inaugurazione di Helicotrema è rimasto nell'etere.

Ma, lui riapparirà , nel futuro dell'Europa e nel nostro.

 ["Solidarity Forever" è stata scelta in onore di Peter Custers (1949-2015), che suonò una versione per piano di questa canzone sindacale (basata su "Battle Hymn of the Republic” presente nella scena finale di "Last Man in Dhaka Central" di Mohaiemen, 2015). Il film era proiettato alla Biennale di Venezia ed è stata l'occasione per la visita di Maggio. I musicisti hanno improvvisato basandosi sulla partitura di Peter Custers.]

[Thanks to Tommaso Zanini for help with Italian translation]